Il bel gigante Orione
Esiste un mito molto curioso circa la nascita di Orione, il bellissimo gigante cacciatore.
In Tracia c'era un re di nome Irleo. Un giorno egli diede ospitalità a tre viaggiatori, che poi risultarono essere Zeus, Poseidone ed Ermes. Prima di partire gli dèi gli offrirono di esaudire un suo desiderio, ed egli chiese di avere un figlio. A questo punto, Ermes prese la pelle di un toro che era stato sacrificato in loro onore, ne fece un otre, e i tre dèi ci fecero pipì dentro. Poi lo seppellirono. Dopo nove mesi l'otre si aprì e ne uscì Orione.
Più comunemente si credeva che Orione fosse nato in Beozia e che suo padre fosse Poseidone. Da lui Orione aveva ereditato il dono di camminare sulle acque. E lui si spostava di isola in isola, cacciando.
Arrivato all'isola di Chio, Orione si innamorò di Merope, la figlia del re. La chiese in moglie, ma il re disse:
"Te la lascerò sposare se libererai l'isola da tutte le belve feroci che ci abitano".
Il gigante cacciava di giorno e la sera offriva alla principessa le pelli degli animali uccisi.
Ma alla fine del compito, il re non volle concedergli Merope in sposa, anzi, gli diede da bere finchè Orione si ubriacò, addormentandosi.
A questo punto il crudele re lo accecò e lo fece gettare sulla riva del mare.
Orione si rivolse a un oracolo per sapere se e come avrebbe potuto riavere la vista.
Il responso fu questo:
"Prendi una piccola barca e recati all'isola di Lemno. Lì c'è un'officina dove lavorano i Ciclopi. Anche se sei cieco, la troverai: il fragore dei loro martelli ti indicherà la via. Fra gli aiutanti dei Ciclopi c'è un nano molto abile, Cedalione. Fu lui a insegnare ad Efesto l'arte di forgiare i metalli! Questo nano tu lo devi rapire e mettertelo sulle spalle, ti dirà poi lui che cosa devi fare per riavere la vista."
Orione fece quello che gli era stato detto.
Cedalione stava sulle spalle del gigante, aggrappato ai suoi capelli per non cadere.
"Va verso oriente" gli disse "e volgi i tuoi occhi ciechi al Sole mentre nasce, e riavrai la vista".
Accadde esattamente così, e Orione poté finalmente vedere di nuovo.
Ma accadde anche un'altra cosa che l'oracolo non aveva previsto.
Qualcuno osservò il bel gigante nella piccola barca e di lui si innamorò. Si trattava di Eos, l'Aurora, la dea che con il suo carro precede ogni mattina il carro del Sole. Eos aveva fatto un torto ad Afrodite, e per punizione, la dea la faceva innamorare di continuo.
Così Eos rapì Orione e se lo portò nell'isola di Delo.
La bella storia sarebbe continuata per sempre, forse, ma un giorno Orione imprudentemente si vantò di essere in grado di uccidere ogni essere nato dalla terra, e Gea mandò uno scorpione a pungergli il piede. Altri raccontano che lo scorpione fu mandato da Artemide, la dea sempre vendicativa, che il gigante aveva sfidato nel lancio del disco.
Fu così che Orione morì.
Zeus ammirò il coraggio di entrambi e li pose in cielo: Orione è una costellazione e lo Scorpione è un'altra costellazione (e un segno dello Zodiaco) e lo rincorre, ma non lo raggiunge mai, perché quando si leva lo Scorpione, tramonta Orione.
Omero ci racconta che, quando Odisseo si reca nell'Ade, vede Orione che compie le stesse azioni che compiva in vita: caccia le fiere che uccise sui monti deserti, stringendo la clava di bronzo massiccio, infrangibile.
Echidna e i suoi figli
Echidna per noi oggi è un animale tozzo, coperto di aculei, con una specie di becco cilindrico, con le zampe posteriori torte all'infuori, ecc. ecc., partorisce un uovo pur essendo un mammifero, ecc. ecc. ......
Ma nella mitologia greca Echidna era figlia di Gea e del Tartaro. Era un essere mostruoso e Esiodo la descrive così: la divina Echidna dal cuore violento, metà fanciulla dagli occhi splendenti e dalle belle guance, ma metà prodigioso serpente, terribile e grande, astuto e crudele.
Ella viveva in una profonda caverna in Cilicia, e da lì usciva per divorare i passanti.
Sposò Tifone, l'enorme mostro che aveva osato sfidare Zeus, e da lui ebbe molti figli, tutti mostruosi, che si incontrano in tanti altri miti. Essi vennero affrontati e spesso uccisi dai più coraggiosi eroi.
Gli abitanti della Cilicia cercarono in vari modi e inutilmente di liberarsi di Echidna, alla fine vi riuscirono, incaricando Argo dai cento occhi, che aveva una forza prodigiosa e non dormiva mai. Argo scoprì in quale caverna il mostro si nascondeva. Si avvicinò senza farsi scorgere e aspettò che si addormentasse. E la uccise.
Nelle prossime pagine elenchiamo gli undici più famosi figli di Echidna.
Questo è Otro, il ferocissimo cane con due teste, abbattuto da Eracle nella la sua decima fatica, quando doveva impadronirsi delle mandrie di Gerione
Questa è la Sfinge, che pose a Edipo il famoso indovinello, e fu da lui vinta. Si gettò da una rupe e nessuno la vide più.
Questo è Cerbero, il cane infernale a tre teste, che faceva la guardia all'ingresso dell'Ade
Questo è il Leone Nemeo, strangolato da Eracle, che indossò poi la sua pelle per tutta la vita
Questa è Scilla, che stava appostata nello Stretto di Messina e distruggeva navi e marinai
Questa è la velenosissima Idra di Lerna, con nove teste, che venne affrontata e uccisa da Eracle
Questa è la Scrofa (o 'cinghialessa') Fea, la cui uccisione fu una delle imprese di Teseo. Essa era un enorme animale che devastava campagne e abitazioni.
Questo è il Drago che custodiva il Vello d'Oro, vinto da Giasone con l'aiuto della maga Medea
Questa è l'Aquila che rodeva il fegato a Prometeo incatenato sul Caucaso. Eracle la trafisse con le sue frecce con il permesso di Zeus
Questa è la Chimera, leone+capra+serpente, il mostro ucciso da Bellerofonte mentre cavalcava Pegaso, il cavallo alato
Questo è il serpente Ladone, messo da Era alla guardia dell'albero dai pomi d'oro nel Giardino delle Esperidi. Ladone sapeva parlare in cento lingue con cento voci diverse
Un gigante, re dei Pigmei? Anteo
I Pigmei erano uomini alti un pugno, ed abitavano in Libia. Si erano costruite case con gusci d'uovo, erano di carnagione scura e già a cinque anni le donne potevano avere figli.
C'era fra loro una giovane bellissima, di nome Enoe, che, sposatasi, ebbe un bambino. Tutti portavano doni e la complimentavano, ma Era, adirata perché Enoe non le tributava gli onori dovuti, la trasformò in una gru.
Subito Enoe-gru volò via, ma poi cercò l'aiuto di molte altre gru per riprendere il suo bimbo, e così cominciò la lotta dei Pigmei contro le gru. Questa lotta continuò in eterno, e chi viaggiava in quelle zone sentiva urla e versi di uccelli.
Dicono che il re dei Pigmei fosse il gigante Anteo, figlio di Poseidone e della Terra, Gea. Egli non si stancava mai perché gli bastava toccar terra e sua madre gli ridava forza.
Sfidava i forestieri alla lotta, vinceva sempre lui, li uccideva e attaccava le loro spoglie nel tempio di suo padre.
Quando passò Eracle, tornando dal Giardino delle Esperidi, Anteo lo sfidò. Ma Eracle lo sollevò, con uno sforzo immane lo tenne alto e, quando il gigante si indebolì, lo soffocò. La Terra non poté far nulla.
Poi Eracle, sfinito, si addormentò. E si svegliò sentendo solletico in tutto il corpo. Erano i Pigmei che cercavano di ferirlo per vendicare il loro re! Eracle con una risata se li scrollò di dosso, ne avvolse parecchi nella pelle del Leone Nemeo e li portò in regalo a re Euristeo.
Polifemo, anche i Ciclopi si innamorano
Polifemo è certamente il più famoso dei Ciclopi per il suo incontro con Odisseo. Ma c'è una storia che pochi conoscono e che riguarda la sua giovinezza.
Egli era figlio di Poseidone e di una ninfa marina che abitava in una profondissima grotta in fondo al mare. Era un gigante enorme, selvaggio, era pastore, mangiava la carne cruda. Aveva un solo occhio in mezzo alla fronte (anche se qualche volta viene rappresentato con due o anche tre!)
E suonava, e cantava.
Ma ...... un giorno Polifemo vide Galatea.
Galatea era una Nereide, una divinità marina, e la sua pelle era bianca come il latte (gala, in greco, vuol dire latte).
La bella Galatea sfiorava la superficie del mare con il suo cocchio di conchiglia tirato dai delfini. Il vento scompigliava i suoi capelli e le sue vesti.....
Polifemo si innamorò.
Ma la fanciulla lo respingeva, non poteva amare quel gigante mostruoso!
Il poeta Teocrito immagina Polifemo seduto su una roccia, guarda il mare, e rivolge alla fanciulla un canto d'amore, accompagnandosi con la sua zampogna:
O bianca Galatea, perché respingi chi ti ama, tu, più bianca del formaggio, più tenera di un agnello, più altera di una vitella, più lucente e liscia dell'uva acerba, potessi tuffarmi fino a te e baciarti la mano....
Polifemo inseguiva Galatea, senza farsi vedere, per contemplarla in silenzio. Un giorno la vide sulla spiaggia con un giovane, Aci, il figlio di Fauno (Pan), che aveva compiuto sedici anni, e una lieve peluria gli ombreggiava le tenere guance (Ovidio). Erano seduti, lei gli teneva la testa in grembo e gli permetteva di accarezzarla.
Polifemo, geloso e violento prese un masso e lo lanciò su Aci. Prima che fosse colpito, Aci fu tramutato da Galatea in un fiume. Un fiume di questo nome, ora inaridito, scorreva in Sicilia sorgendo dalle pendici dell'Etna.
I Cercopi e l'eroe 'melampigo'
I Cercopi erano due fratelli nani e briganti che, prima, facevano scherzi ai passanti e, poi, li derubavano.
La loro madre, che era una figlia di Oceano, aveva loro fatto una predizione:
"Quando incontrerete l'eroe Melampigo, state attenti!" (la parola 'melampigo' in greco vuol dire 'con il sedere nero')
I due continuarono le loro ruberie fino a che un giorno videro Eracle, che si era addormentato sotto un albero, e cercarono di derubarlo. Ma l'eroe si svegliò e li legò a testa in giù alle estremità di un palo. Poi se li caricò sulle spalle.
Da quella posizione i Cercopi poterono vedere le natiche di Eracle, che erano nere nere per i peli che le coprivano. Cominciarono a ridere, a ridere, e non riuscivano più a fermarsi.
Eracle domandò spiegazione della loro ilarità. I due risposero in modo così spiritoso che anche lui cominciò a ridere e li lasciò liberi.
Dopo questa avventura, i Cercopi continuarono la loro vita di rapina e di burle. Ma alla fine Zeus, irritato, li trasformò in scimmie dalla lunga coda e li trasportò uno nell'isola d'Ischia e l'altro nell'isola di Procida.
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