Eracle, tutta la sua storia
Nascita e infanzia
Nella città di Tebe viveva una bellissima e nobile signora, Alcmena. Fu lei la madre di Eracle. Il padre fu Zeus, mentre il padre terreno fu Anfitrione, il marito di Alcmena.
Eracle nacque dopo ben dieci mesi di gestazione e fu chiamato Alcide. Il nome di Eracle gli venne dato più tardi.
Si vide subito che era un bambino straordinario e, mentre Zeus ne era orgoglioso, sua moglie Era lo odiava. Lo avrebbe perseguitato per tutta la vita.
La dea cominciò subito col mandare due serpenti dalle scaglie azzurrine per ucciderlo. Le porte si erano aperte davanti a loro ed essi erano silenziosamente scivolati fino alla camera del bambino. Fiamme schizzavano dai loro occhi e veleno sgocciolava dalle loro fauci.
E mentre Alcmena gridava e Anfitrione osservava ammirato, il piccolo Eracle, che non sapeva ancora camminare né parlare, strozzò i due serpenti con la massima calma e serenità.
Un giorno Zeus sentì Eracle piangere per la fame. Scese allora a Tebe, prese il bimbo fra le braccia e lo portò sull'Olimpo. Era stava dormendo. Zeus le avvicinò il piccolo al seno, per allattarlo.
A questo punto qualcuno dice che quando la dea si svegliò e vide 'chi' aveva al petto diede uno strattone per allontanarlo con ira. Qualcun altro invece racconta che Eracle affamato diede una gran succhiata e non riuscì a inghiottire tutto il latte.
Comunque siano andate le cose, dal seno di Era uscì un grande spruzzo candido che finì in cielo a formare la Via Lattea.
Fanciullezza ed educazione
Eracle ebbe i migliori maestri del suo tempo e fu educato in tutte le discipline.
Il saggio centauro Chirone lo addestrò nella caccia e specialmente nella medicina, arte in cui era espertissimo.
Il suo padre terreno Anfitrione lo iniziò alla guida del cocchio e alla corsa con i carri.
Eurito, colui che possedeva il grande arco ricevuto in dono da suo nonno Apollo, gli insegnò a tirare con quest'arma, che rimase sempre, insieme alla clava, la preferita dall'eroe.
Perfino uno dei Dioscuri, Castore, gli diede lezioni di scherma.
Fu suo infelice maestro anche il grande Lino, che era figlio di una musa e cercava di insegnargli le lettere e la musica. Ma Eracle non era per nulla portato per queste materie ed era uno scolaro scarso e svogliato.
Un giorno Lino, esasperato lo rimproverò:
"Sei pigro, non ti interessi a quello che ti insegno, non impari niente!"
E lo colpì con un bastone. Eracle, per difendersi, afferrò la lira e la scagliò in testa al maestro. Per la forza del suo braccio, il colpo fu tremendo e Lino morì.
Eracle non fu punito perché aveva agito per legittima difesa, ma Anfitrione non era tranquillo: quel ragazzo era troppo forte. Gli fece interrompere gli studi e lo mandò a pascolare le mandrie fino a diciotto anni.
Come era Eracle?
Fin da quando era un ragazzo, Eracle sopravanzava tutti i suoi coetanei per la statura, la forza e il coraggio.
Era alto quattro cubiti e un piede, cioè circa due metri: una statura imponentissima oggi, ma per quei tempi, straordinaria.
I suoi occhi lampeggiavano, la voce era potente.
Aveva una mira infallibile sia con il giavellotto che con l'arco.
Mangiava parcamente al pasto di mezzogiorno. Per cena il suo cibo preferito era carne arrostita e ciambelle di orzo (ne divorava tantissime!).
Indossava una tunica corta e linda e dormiva di preferenza all'aperto, sotto la volta stellata.
Aveva una profonda conoscenza della scienza augurale, quella che permette di conoscere il futuro secondo il volo degli uccelli, in particolare degli avvoltoi. "Sono i più onesti degli uccelli" dichiarava Eracle "non attaccano mai le creature viventi".
Qualcuno dice che gli mancasse un dito: o glielo aveva staccato il Leone Nemeo, o era stato punto da un insetto, si era infettato e avevano dovuto amputarglielo, oppure se lo era tagliato lui stesso per punirsi dell'uccisione dei figli.
Eracle era cortese per natura e si vantava di non aver mai iniziato lui un litigio: "io tratto gli altri come loro trattano me!"
Un certo Tremero usava uccidere i viandanti sfidandoli a battersi con lui a testate. L'ingenuo sfidò anche Eracle, ma il suo cranio si dimostrò più duro e la testa di Tremero si spaccò come se fosse un uovo.
Matrimonio e pazzia
Quando fu adulto, Eracle sposò la principessa Megara ed ebbe tre figli.
Ma Era, la sua grande nemica, lo fece impazzire e lui, in un eccesso di furore, prese i tre bambini e li uccise, gettandoli nel fuoco.
Egli stava per continuare la strage, uccidendo anche Megara, quando Atena, sua protettrice, intervenne scagliandogli una grossa pietra sul petto. L'eroe cadde in un sonno profondo.
Quando Eracle si risvegliò, subito recuperò la ragione. Gli tornò alla mente ciò che aveva fatto . Si sentì disperato e si rinchiuse per tre giorni in una stanza buia.
"Che cosa posso fare per essere perdonato del terribile delitto che ho commesso?" Questa era la domanda che lo tormentava.
Decise di recarsi a Delfi dove la Pizia, sacerdotessa di Apollo, parlava per conto del dio.
La Pizia era seduta su un tripode di legno dorato e masticava foglie di alloro. Prima fece parlare Eracle, che raccontò la sua tragica storia, poi ella si espresse così:
"Tu, Alcide, (questo era finora il nome dell'eroe) dovrai andare a Tirinto da tuo cugino Euristeo, dovrai servirlo per anni e compiere tutte le imprese che lui ti imporrà. Questo sarà fatto per la gloria di Era, quindi d'ora in poi ti chiamerai Eracle, cioè 'gloria di Era'. Saranno degli anni durissimi per te, ma essi ti daranno la fama nei secoli e ti permetteranno di salire sull'Olimpo dopo la tua morte e di diventare immortale."
Eracle si prepara per le fatiche
Eracle non avrebbe voluto servire per tanti anni Euristeo, un uomo a lui inferiore, ma quello era il volere degli dèi e lo doveva accettare.
Euristeo gli disse che, per purificarlo, gli avrebbe imposto dieci fatiche.
E gli dèi gli fecero questi doni:
• Ermes: una spada
• Apollo: arco e frecce adorne di piume d'aquila
• Efesto: una corazza d'oro
• Atena: un mantello
• Poseidone: una coppia di cavalli
• Zeus: un magnifico scudo. Questo scudo, opera di Efesto, aveva una fascia tutt'intorno, con incise le teste di dodici serpenti. Ogni volta che Eracle iniziava una battaglia le teste dei serpenti facevano scattare le fauci, terrorizzando i nemici.
La prima fatica
Il Leone Nemeo
Eracle doveva uccidere il Leone Nemeo e portare la pelle al re Euristeo.
Il Leone Nemeo era una belva enorme che non poteva essere ferita né da ferro, né da bronzo, né da pietra. Era stato creato da Selene, la Luna, e Iride, l'Arcobaleno, gli aveva messo la sua cintura come guinzaglio. Crescendo era però diventato feroce e devastava le terre e uccideva uomini e armenti.
Eracle si fece indicare dove viveva il Leone e arrivò vicino alla sua tana, un antro. Si nascose. Poco dopo lo vide arrivare da lontano, tutto macchiato di sangue.
Scagliò varie frecce ma tutte rimbalzarono sulla fitta pelliccia. Prese la spada, lo colpì, ma il ferro si piegò.
"Come posso vincerlo?" si chiese Eracle.
Vide un albero di olivo e si costruì una clava. Con quella vibrò un tale colpo sul muso dell'animale che il Leone, tutto intontito e barcollante, entrò nella sua tana con le orecchie che gli ronzavano.
Eracle lo seguì nella caverna e iniziò una lotta terribile. Alla fine lo immobilizzò, gli premette un braccio sotto la gola e lo strangolò.
Zeus, a rendere perpetua memoria dell'impresa del figlio, mise il Leone in cielo come costellazione e segno dello Zodiaco.
Eracle scuoiò l'animale e portò la pelle ad Euristeo. Il re però non la volle, per la paura che gli fece. Fu talmente spaventato dalla forza di Eracle e della sua preda che si nascose in un grande vaso!
La clava e la pelle del leone
Per poter abbattere il Leone Nemeo Eracle si era costruito una clava. Aveva usato il tronco di un olivo selvatico, robusto e nodoso.
Quando l'eroe morì, la clava rimase abbandonata in un prato: il legno fece radici e ne uscì un albero maestoso che, ancora dopo secoli, spandeva la sua ombra su quel grande prato.
Euristeo non volle la pelle del Leone. Eracle allora se ne fece una veste invulnerabile e, con la testa, un copricapo.
Per scuoiare il Leone egli dovette usare un unghione dell'animale stesso, perché la pelle non si poteva tagliare con nessun tipo di lama.
Ogni volta che vediamo una statua o una rappresentazione di un uomo alto e forte con la clava e la pelle del Leone sappiamo di sicuro che si tratta di Eracle.
La seconda fatica
L'Idra di Lerna
La seconda fatica che re Euristeo, da dentro il vaso, impose ad Eracle fu l'uccisione dell'Idra di Lerna.
L'Idra aveva il corpo di serpente e nove teste di cui una, quella in centro, era immortale. Dalle nove bocche usciva un puzzo mefitico e velenoso. Essa aveva la sua tana sotto un albero di platano, e stava sempre immersa nella profondissima palude di Lerna. Si diceva che qui vi fosse un ingresso all'Ade.
Per compiere questa fatica Eracle si fece accompagnare dal suo giovane nipote Iolao. Lerna si trovava vicino alla città di Argo. Presero dunque cocchio e cavalli e Iolao si mise alla guida.
Quando i due arrivarono, l'Idra era nella sua tana ed Eracle la costrinse ad uscire tempestandola di frecce infuocate.
In quel momento, per aiutare l'Idra, Era fece uscire dalla palude un enorme granchio che si chiamava 'Karkinos'.
Karkinos si attaccò con le chele ad un tallone di Eracle, il quale urlò ma, non riuscendo a liberarsene, lo schiacciò violentemente, uccidendolo.
Era volle immortalare questo suo fedele animale ponendolo in cielo. Ora è uno dei segni dello Zodiaco, il Cancro.
Eracle iniziò la lotta con il terribile mostro respirando appena per il puzzo tremendo. Ma invano si accanì con la clava: non appena riusciva a spaccare una delle teste, ne ricrescevano due. Eracle allora gridò a Iolao, che era impietrito dalla paura:
"Corri nel bosco, incendialo, e porta dei tizzoni accesi!"
Qualcuno dice invece che lì c'era un grande braciere, e Iolao se ne servì per accendere i rami.
Così bruciarono tutte le teste dell'Idra. Usando poi la spada Eracle tagliò la testa immortale che era in parte d'oro. La seppellì, ancora sibilante, sotto una pesante roccia. Squartò la carcassa e immerse la punta delle sue frecce nella bile del mostro.
Quando Eracle tornò a Tirinto Euristeo non volle riconoscere la validità di questa fatica perché c'era stato l'aiuto di Iolao.
Le frecce avvelenate
Eracle dunque aveva immerso la punta delle sue frecce nella bile o, come dicono altri, nel sangue dell'Idra.
Da quel giorno la minima scalfittura prodotta sulla pelle avrebbe causato la morte.
Il nemico ferito dalla sua freccia, anche se fosse riuscito a levarsela, sarebbe finito in breve tempo fra tremendi dolori.
La terza fatica
La Cerva di Cerinea
Eracle doveva catturare la Cerva che viveva sul Monte di Cerinea senza ucciderla, e portarla ad Euristeo.
Si trattava di una grande Cerva sacra ad Artemide, la dea della caccia. Quando era fanciulla, la dea aveva visto cinque grandi bellissime cerve dalle corna d'oro che scintillavano al sole e dagli zoccoli di bronzo. Ne aveva catturate quattro e le aveva aggiogate al suo cocchio. La quinta era fuggita, ma era consacrata a lei.
Si dice che la Cerva portasse un collare con l'iscrizione: 'Sono sacra ad Artemide'.
Questa Cerva era molto veloce ed Eracle la inseguì per un anno intero senza raggiungerla. Infine essa si stancò.
Qualcuno dice che Eracle la catturò con delle reti, altri che la trovò addormentata sotto un albero, altri ancora che lui la ferì leggermente ad una zampa mentre stava attraversando un fiume.
L'eroe se la caricò sulle spalle e la portò ad Euristeo.
La Cerva fu poi liberata e così raggiunse le sue sorelle e Artemide.
La quarta fatica
Il Cinghiale di Erimanto
La quarta fatica che Euristeo impose ad Eracle fu di catturare vivo il Cinghiale di Erimanto.
Si trattava di un cinghiale gigantesco che terrorizzava e devastava la zona.
Mentre si recava sul monte Erimanto, dove l'animale viveva, Eracle fu ospitato dal cordiale centauro Folo. Costui gli offrì carni arrostite, ma non c'era vino. Eracle ne chiese. Il centauro ammise di averne una giara, ma disse che apparteneva a tutti i centauri e non si poteva aprirla. Eracle disse:
"So che la giara l'ha lasciata qui Dioniso, proprio per un'occasione come questa!"
Allora Folo l'aprì. L'odore del vino attirò tutti gli altri centauri. Li rese folli ed essi arrivarono armati di sassi, di tronchi d'albero e di torce.
Eracle, per difendere l'amico Folo e se stesso, cominciò a tirare frecce avvelenate. Alcuni dei centauri, feriti, morirono mentre gli altri fuggirono.
Folo tolse la freccia dal corpo di uno dei morti e mormorò:
"E' incredibile che una ferita così leggera abbia ucciso un centauro così forte!". Egli non sapeva del veleno dell'Idra.
In quel momento la freccia gli cadde di mano e lo scalfì a un piede. E Folo morì. Eracle onorò l'amico con funerali magnifici.
L'eroe si mise allora in cerca del Cinghiale. Era inverno, nevicava. Eracle scoprì la tana dell'animale nel folto del bosco e lo fece uscire lanciando alte grida. Lo inseguì finché non riuscì a costringerlo in un fosso stretto e pieno di neve. Gli saltò sulla schiena e lo cavalcò fino a Tirinto.
Solo all'ultimo se lo caricò sulle spalle per mostrarlo al re che, naturalmente, si era rifugiato nel vaso!
I luoghi di Eracle
Durante le sue Fatiche Eracle viaggiò per tutto il mondo allora conosciuto, ad oriente fino al Caucaso dove liberò Prometeo, ad occidente fino allo Stretto dove pose le sue Colonne. E ogni volta tornava a Tirinto, da re Euristeo.
La quinta fatica
Le stalle di Augia
Un amico di Euristeo era il re Augia, un figlio di Elio. Aveva ricevuto dal padre trecento tori neri con le zampe bianche, duecento cavalli con il pelo rosso, altre migliaia di animali e dodici eccezionali tori bianco argentei, che difendevano tutto il bestiame dall'assalto delle belve feroci.
Però da anni nessuno aveva pulito le stalle di Augia, dove gli animali vivevano, e perfino le valli dove essi pascolavano erano coperte da uno strato così alto di sterco che non si poteva più né arare né seminare.
Eracle fu incaricato di ripulire il tutto. Perciò si recò dal re e gli disse:
"Se pulisco tutto in un solo giorno mi darai un decimo del tuo bestiame?"
Augia accettò, sicuro che la cosa non fosse possibile.
Eracle, con l'ispirazione di Atena, aprì molti grossi buchi nei muri delle stalle, poi deviò il corso dei due vicini fiumi (l'Alfeo e il Peneo) in modo che le acque le invadessero spazzando via tutto il sudiciume. In breve le acque ripulirono anche gli ovili delle pecore e la vallata del pascolo. Alla fine Eracle riportò i due fiumi nel loro naturale letto.
Tutto in un solo giorno e senza sporcarsi un dito! Ma, quando fu il momento di dare la ricompensa che era stata pattuita, Augia si rifiutò e arrivò al punto di scacciare Eracle. Fu per questo motivo che, più tardi, il nostro eroe mosse guerra ad Augia con un esercito.
Euristeo non volle contare questa fatica fra le dieci che intendeva imporre perché Eracle aveva chiesto un compenso anche se poi non lo aveva ottenuto.
Se Era fu acerrima nemica dell'eroe per tutta la sua vita, egli ebbe invece la protezione e l'assistenza di Atena, come possiamo vedere in molte rappresentazioni di questi miti.
La sesta fatica
Gli Uccelli Stinfali
Euristeo ordinò ad Eracle la distruzione degli Uccelli Stinfali. Essi prima abitavano sul Mar Nero, poi c'era stata un'invasione di lupi ed erano fuggiti venendo a stabilirsi sul lago Stinfalo.
Questi uccelli avevano lunghi becchi di bronzo che infilavano nel petto di uomini e animali. Anche gli artigli e le penne erano di bronzo e, quando gli uccelli si alzavano in volo e agitavano le ali, le penne che cadevano, se colpivano, erano pericolosissime.
Eracle sedeva sul bordo del lago e pensava:
"Come posso distruggerli, così numerosi e nascosti nei rami degli alberi?"
Gli apparve Atena che gli diede delle nacchere (o dei sonagli) di bronzo fabbricati da Efesto.
Eracle salì su una roccia che si ergeva alta sulla palude e cominciò ad agitare gli strumenti. A quel frastuono gli uccelli si misero a volare all'impazzata ed Eracle riuscì ad abbatterne parecchi con le sue frecce. Tutti gli altri, in un immenso stormo, volarono a oriente, tornando alla loro terra sul Mar Nero.
Eracle li rivide quando, anni più tardi, viaggiò in quelle terre con gli Argonauti alla ricerca del Vello d'Oro.
Così terminò la sesta fatica.
La settima fatica
Il Toro di Creta
Euristeo ordinò a Eracle di portargli vivo il Toro di Creta.
Era un Toro divino. Anni prima, Minosse, il re di Creta, stava sulla spiaggia e guardava il mare. Ad un tratto aveva esclamato:
"Poseidone, ti sacrificherò il primo essere che uscirà dal mare!"
Il dio fece uscire un magnifico toro candido dalle grandi corna lunate.
Quando Minosse lo vide, così straordinariamente bello, non se la sentì di ucciderlo. Lo nascose fra le sue mandrie e sacrificò invece un altro animale. Questo fece infuriare Poseidone, il quale rese il Toro violento e pericoloso tanto che devastava campagne, sradicava alberi, abbatteva i muri degli orti.
Qualcuno dice che fu proprio questo Toro bianco il padre del Minotauro.
Eracle giunse a Creta su una nave e si presentò al palazzo, chiedendo aiuto a Minosse. Il re rifiutò e, avvertendolo che il Toro emetteva fiamme dalle narici, concluse:
"Ti permetto però di catturarlo, se lo farai da solo".
Fu un'altra lotta immane ma alla fine il nostro eroe domò l'animale.
Attraversò il mare per tornare in Grecia sulla groppa del Toro stesso, poi condusse l'animale da Euristeo, facendolo camminare docilmente innanzi a sé.
Il Toro fu poi lasciato libero nella pianura di Maratona e alla fine fu abbattuto da un altro eroe, Teseo, che desiderava emulare le gesta di Eracle.
L'ottava fatica
Le Cavalle di Diomede
Queste Cavalle di Diomede dovevano essere catturate ma non uccise.
Si trattava di quattro magnifici e feroci animali che appartenevano a Diomede di Tracia (non quello della guerra di Troia). Questo re non era meno feroce delle sue cavalle perché le nutriva di carne umana, quella dei suoi ospiti o dei viaggiatori ignari.
Di queste cavalle sappiamo anche i nomi: Podargo, Lampone, Xanto e Deino.
Esse non avevano mai conosciuto morso o briglie, ma Eracle le domò e le aggiogò al cocchio di Diomede, poi partì a gran velocità.
Attraversarono valli e monti, prati e foreste, sempre al galoppo, e giunsero alla fine da re Euristeo, che ordinò:
"Portale sul monte Olimpo e dedicale ad Era".
Così fu fatto e terminò l'ottava fatica.
La nona fatica
La cintura di Ippolita
Questa fatica nasce dal capriccio di una ragazza, la giovane figlia di re Euristeo.
"Padre, so che la regina delle Amazzoni Ippolita possiede una meravigliosa cintura d'oro. La vorrei".
Così Eracle fu incaricato di impadronirsene.
La cintura di Ippolita era un dono che questa regina aveva ricevuto da suo padre Ares. Era il segno del potere che ella aveva sul suo popolo.
Le Amazzoni, queste famose donne guerriere, erano abilissime nel cavalcare, audaci e fortissime in battaglia. Abitavano sulle rive del Termodonte, un fiume che si getta nel Mar Nero. Gli elmi e le corte vesti che indossavano erano fatti con le pelli degli animali uccisi. Quando nascevano figli maschi li regalavano ad altre tribù. A volte li tenevano, pochi, come servi ma, appena nati, rompevano loro (che crudeltà!) le braccia oppure le gambe perché rimanessero deboli.
Le figlie le allattavano con una sola mammella perché l'altra se l'erano tagliata per maneggiare meglio le armi. Quando poi erano cresciute, le ragazze venivano addestrate al combattimento.
Eracle si imbarcò su una nave con alcuni compagni e giunse al porto di Timiscira, nel paese delle Amazzoni.
Da questo momento vi sono vari miti discordanti fra loro.
Secondo un mito, il più romantico e non cruento, la regina Ippolita venne sulla nave per accogliere l'eroe. Quando lo vide si innamorò di lui e spontaneamente gli donò la cintura.
Un altro mito invece ci racconta che Eracle rapì la sorella amatissima di Ippolita mentre camminava sola in un luogo deserto e propose uno scambio: "Io ti rendo tua sorella sana e salva e tu mi dai la cintura d'oro".
Il terzo mito ci dice che, appena sbarcato, Eracle fece visita alla regina. Quando le disse per quale motivo egli era venuto nel suo paese, Ippolita, forse affascinata dal bell'eroe, si dichiarò disposta a donargli la sua cintura. La dea Era però non volle permettere che l'odiato Eracle compisse una fatica così facilmente. Allora si travestì da amazzone (tutti gli dèi avevano la capacità di trasformarsi come desideravano). E girò per la città spargendo la voce che i Greci venuti con la nave fingevano di essere amici ma in realtà avevano l'intenzione di rapire la regina. A questo punto le Amazzoni assalirono i Greci. Eracle, credendo di essere tradito e che Ippolita lo stesse ingannando, la uccise e le tolse la cintura.
La nave fece nuovamente rotta verso la Grecia e, arrivato a Tirinto, Eracle consegnò la bella cintura ad Euristeo che la diede alla sua capricciosa figlia.
La decima fatica
Le mandrie di Gerione
Come decima fatica Euristeo impose ad Eracle di impadronirsi delle mandrie di Gerione, senza pagarle e senza neppure chiederle.
Gerione abitava in un'isola all'estremo occidente e il viaggio fu lungo e pieno di avventure.
Eracle arrivò perfino dove finisce la terra d'Europa che allora, dicono, era collegata all'Africa. Egli separò i due continenti aprendo un canale (che ora si chiama Stretto di Gibilterra). Ma eresse una colonna per parte, con una grande scritta: NON PLUS ULTRA cioè 'non si deve andare oltre'. E per tantissimo tempo nessun navigante osò superare le Colonne d'Ercole.
Per andare sull'isola e prendere il bestiame ad Eracle serviva una barca, ma non ce n'erano. Stava sulla spiaggia, sdraiato, il sole splendeva caldissimo e scottava troppo. Il nostro impaziente eroe prese una freccia dalla sua faretra e la scoccò contro il sole.
Elio si adirò fortemente e gli chiese: "Come ti permetti?"
"Elio, ho sbagliato ma ho un problema che mi assilla e mi rende nervoso. Io ho bisogno di una barca".
" Eracle, ti scuso perché ammiro il tuo coraggio e la tua forza e ti voglio aiutare. Ti presto la mia coppa".
Questa era una enorme tazza d'oro. Ogni sera, quando Elio arrivava all'occidente con il suo cocchio e si faceva notte, egli saliva con il cocchio e i quattro cavalli sulla coppa e su questa tornava ad oriente passando sotto la terra. Da oriente sarebbe poi ripartito il mattino seguente.
Eracle salì sulla coppa e servendosi della pelle di leone come vela giunse all'isola.
Arrivato nel luogo dove viveva Gerione, Eracle lo vide e rimase stupefatto perché era un vero mostro. Aveva tre teste e tre corpi fino alla cintura, con sei braccia, ma un solo paio di gambe. Il suo ferocissimo cane Otro aveva 'solo' due teste.
La lotta fu breve: Eracle uccise il cane con due colpi di clava e poi con una sola freccia trafisse i tre corpi di Gerione.
Fece salire la mandria sulla coppa d'oro e, tornato sulla terraferma, la rese a Elio ringraziandolo.
Durante il viaggio di ritorno attraversò tutti i paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo e arrivò perfino nel Lazio dove, molti secoli più tardi, sarebbe stata fondata Roma.
Era sera ed Eracle attraversò il fiume Tevere a nuoto con la mandria e re Evandro lo accolse con onore. Poi si sdraiò sull'erba dell'Aventino a riposare.
In una grotta lì vicino viveva un uomo orribile di nome Caco, che gli rubò quattro mucche e quattro buoi nascondendoli poi in una caverna. Aveva trascinato gli animali per la coda facendoli camminare all'indietro. Così le tracce sembravano dirigersi fuori della caverna e non dentro ed Eracle si lasciò ingannare.
Il nostro eroe si stava già allontanando quando gli animali muggirono, rivelando così la loro presenza. Eracle individuò la grotta, ma un masso enorme sbarrava l'ingresso. Con la sua forza eccezionale lo spostò, tirò un colpo di clava sulla testa di Caco e si riprese il bestiame.
Dopo altre avventure Eracle arrivò finalmente a Tirinto, e appena Euristeo sentì il rumore degli zoccoli corse a nascondersi nel grande vaso.
La vana speranza
Eracle aveva compiuto dieci fatiche, il numero che Euristeo all'inizio gli aveva imposto.
Erano passati otto anni e un mese. All'inizio l'eroe era giovane, poi man mano, con il passare degli anni, si era fatto maturo (notare questo interessante particolare nel rilievo qui sopra).
E, se le prime imprese lo avevano visto vittorioso in zone vicine alla sua patria, per le seguenti aveva dovuto allontanarsi sempre più, compiendo lunghi e pericolosi spostamenti.
Tornato a Tirinto con i buoi di Gerione Eracle contava di essere purificato e libero. Ma non fu così. Euristeo non riconobbe due fatiche: con l'Idra lo aveva aiutato Iolao, ad Augia aveva chiesto un compenso.
"Perciò, altre due fatiche ti impongo" fu la conclusione del re.
Un ricordo ormai lontano
Un giorno, quando era ancora molto giovane e pascolava le mandrie, Eracle si trovò ad un bivio e non era certo di quale sentiero prendere per raggiungere il luogo che doveva.
C'era un albero frondoso e si sedette all'ombra per riposare un poco e riflettere.
Si avvicinarono due donne imponenti: una era giovane e bella, l'altra più anziana e meno attraente.
La prima gli disse: "Io sono la Mollezza e ti offro una vita comoda, ricca, piena di piaceri".
E l'altra: "Io sono la Virtù. Con me la vita sarà piena di fatiche ma ti porterà alla gloria".
Eracle non esitò e scelse la seconda.
Forse ora questo ricordo gli tornò alla mente.
L'undicesima fatica
I Pomi delle Esperidi
Euristeo disse ad Eracle: "Mi devi portare tre Pomi delle Esperidi."
Che cosa erano questi pomi?
Quando Era aveva sposato Zeus, sua nonna Gea, la Terra, le aveva regalato un albero divino che dava frutti d'oro. Era lo aveva piantato in un giardino segreto custodito dalle sorelle Esperidi. Arrotolato intorno al tronco ci mise un drago che aveva cento teste e che si chiamava Ladone. Con ognuna delle cento bocche esso parlava con voce diversa e in una lingua diversa.
Eracle non sapeva dove fosse questo giardino perciò durante il viaggio dovette chiedere informazioni a molte persone e dovette percorrere grandi distanze.
Quello che lo aiutò di più fu Prometeo.
Molto tempo prima Prometeo aveva subito il castigo di Zeus ed era stato incatenato al monte Caucaso. Un'aquila durante il giorno gli rodeva il fegato che ricresceva durante la notte. Un supplizio che non doveva aver fine, ma Eracle, con il permesso di suo padre Zeus, uccise l'aquila e sciolse le catene di Prometeo.
In cambio di questo grandissimo favore Prometeo disse ad Eracle:
"Il Giardino delle Esperidi si trova ad occidente della Libia, in Africa. Lì vicino abita mio fratello Atlante: è lui il padre delle Esperidi, è lui che ha costruito il muro del giardino e conosce bene il drago. Chiedi aiuto a lui".
Ma anche Atlante aveva ricevuto una punizione da Zeus, per aver partecipato alla lotta dei Titani contro gli dèi: il suo supplizio era di dover portare per l'eternità sulle spalle o sulla testa la volta del cielo, un peso enorme di cui desiderava potersi liberare.
Quando arrivò Eracle egli cercò di approfittare della situazione:
"Sì, te li vado a prendere io quei tre Pomi, se intanto tu reggi la volta del cielo".
Eracle dovette accettare e si caricò il cielo sulla testa.
In breve tempo Atlante prese i tre Pomi e tornò da Eracle dicendo:
"Tu resta pure qui, ci vado io da Euristeo per conto tuo".
Ma Eracle, capite le intenzioni, rispose:
"Va bene, ma reggi il cielo solo un poco, mentre cerco un cuscino per stare più comodo".
L'ingenuo Atlante cadde nel tranello che Eracle astutamente gli aveva teso e, appena ebbe ripreso il cielo sulle spalle, vide Eracle raccogliere i Pomi e scappar via velocemente.
Quando Euristeo vide i Pomi non osò tenerli perché erano divini. Eracle allora li affidò ad Atena e lei li riportò nel Giardino delle Esperidi.
In Egitto
Mentre Eracle si stava recando al Giardino delle Esperidi, transitò in Egitto e qui gli capitò un'altra avventura.
Regnava Busiride, un figlio di Poseidone, un re crudelissimo. Aveva costretto il dio marino Proteo a fuggire, aveva tentato di rapire le Esperidi, le Ninfe del Tramonto, che erano famose per la loro bellezza, era un vero tiranno, tanto che una carestia si era abbattuta sull'Egitto.
Busiride allora aveva interrogato un certo Frasio, che era un indovino che veniva da Cipro, avendone questa risposta:
"Per far cessare la carestia devi sacrificare a Zeus uno straniero ogni anno".
Busiride fece subito sacrificare lo stesso Frasio.
L'anno seguente passò di lì Eracle e l'incauto re lo fece prendere e legare. Poi Busiride stesso lo incoronò di fiori e lo portò all'altare per il sacrificio. Eracle, che aveva atteso con pazienza quel momento, ruppe i lacci, saltò a terra e uccise Busiride, liberando così l'Egitto da quel crudele re.
La dodicesima fatica
La cattura di Cerbero
L'ultima fatica imposta all'eroe fu addirittura quella di scendere nell' Ade, il mondo dell'Oltretomba, e catturare il guardiano Cerbero. Esso era un cane con tre teste coperte di serpenti e la sua coda era irta di aculei.
Penetrato nell'Ade, Eracle faticò alquanto a convincere il barcaiolo Caronte a traghettarlo attraverso l'Acheronte. E, quando fu a bordo, la barca quasi affondava sotto il suo peso dato che normalmente essa portava solo ombre.
Fra i morti fece un incontro per lui fatale, perché sarebbe stato la causa della sua fine. Vide l'ombra di Meleagro, principe di Calidone, che lo trattenne e che, con voce commossa, gli raccontò della sua tragica e recentissima morte e gli disse:
"Sono tormentato del pensiero di mia sorella Deianira, rimasta senza difesa, ora che io sono morto".
Eracle lo rassicurò, offrendosi:
"Quando torno sulla terra, vado a Calidone e le chiedo di sposarmi".
Eracle quindi arrivò al trono di Ade, che sedeva assieme alla sua sposa Persefone. Quando Eracle gli chiese di Cerbero, Ade replicò sogghignando:
"Il cane lo puoi prendere, se saprai domarlo senza clava né frecce".
Eracle afferrò Cerbero per le gole. Il cane tentò di colpirlo con le serpi e gli aculei, ma la pelle invulnerabile del Leone Nemeo lo protesse. E l'eroe, dopo averlo afferrato, non allentò la stretta finché, mezzo soffocato, il cane non si arrese.
Ecco, allora intervenne Ermes Psicopompo (colui che accompagna le anime), il quale conosceva il mondo dell'Oltretomba molto bene e portò uomo ed animale alla superficie.
Appena vide la luce, Cerbero ne fu terrorizzato e si mise ad abbaiare furiosamente con tre bocche. Gli cadde della saliva sul prato. Essa fece nascere l'aconito, un'erba molto velenosa.
Finalmente i due arrivarono da Euristeo che, più spaventato che mai, da dentro il vaso urlò:
"Eracle, l'ho visto, va bene, ora lo puoi riportare ad Ade. Hai completato la tua purificazione, sei libero!"
E, secondo l'oracolo, Eracle si era anche guadagnato l'immortalità.
Dove si parla di Iolao, di uno stadio e di un piede
A questo punto Eracle tornò finalmente a Tebe, la sua città. Erano passati circa dieci anni da quando l'aveva lasciata. Iolao suo nipote, era ormai un uomo e un fortissimo atleta, che aveva vinto la gara dei carri alle Olimpiadi. Ricordiamo che Iolao, ancora ragazzo, era l'auriga di Eracle e guidava il suo carro mentre si recavano a Lerna per uccidere l'Idra.
Era stato proprio Eracle a fondare i Giochi Olimpici in onore di suo padre Zeus, e lo stadio era stato misurato sulla lunghezza dei suoi piedi.
Lo stadio era una misura lineare equivalente a 600 piedi, circa 180 metri. Il piede di Eracle era dunque lungo 30 centimetri. Su questa base, il grande matematico greco Pitagora calcolò quale dovesse essere la statura di Eracle, superiore a quella media del comune mortale, ma non enorme quanto alcuni sostenevano. Molti credevano infatti che gli eroi antichi fossero alti fino a tre metri. Lo storico Erodoto racconta che il sandalo calzato da Perseo era lungo più di ottantacinque centimetri!
Iolao sposò Megara, ex moglie di Eracle. Egli era un uomo avventuroso e, su suggerimento dello stesso Eracle, radunò un gruppo di Greci che desideravano fondare una colonia, si imbarcarono tutti e fecero vela per la Sardegna. Trovarono buoni terreni da coltivare e chiamarono l'ingegnere Dedalo (che era in Sicilia dopo essere fuggito da Creta) per sovrintendere alle costruzioni. Sulla via del ritorno verso la Grecia, Iolao fece anche sosta in Sicilia dove fu molto onorato.
Secondo alcuni, Iolao, vecchissimo, riebbe la giovinezza dalla dea Ebe.
Acheloo e Deianira
Eracle ricordò la promessa fatta a Meleagro nell'Ade. E ricordò anche alcune delle parole del loro colloquio, che ci sono raccontate da un poeta greco: Deianira dal tenero collo lasciai nella casa..... aveva detto Meleagro, ed Eracle aveva risposto se è simile a te nell'aspetto, volentieri la farei mia splendida sposa. E si recò a Calidone, per incontrare la bella principessa Deianira.
Qui dobbiamo interrompere la storia per parlare di Acheloo.
Acheloo è il più grande fiume della Grecia e scorre dall'Epiro al Mar Ionio. Fu il primo fra i tremila figli creati da Oceano e Teti all'inizio del mondo. Era il padre delle Sirene e di molte fonti e sorgenti. Come dio-fiume, Acheloo aveva il dono della metamorfosi: quindi egli poteva trasformarsi a suo piacere.
Voleva sempre essere onorato e si adirava con chi non lo faceva.
Un giorno durante una cerimonia in onore degli dèi c'era un gruppo di Naiadi, le ninfe delle fonti, che avevano onorato tutti gli dèi tranne lui. Che fece? Sentiamo le sue parole nei versi di Ovidio:
........ con impeto immenso e immensa alluvione
sradicai foreste da foreste, campi da campi, e insieme
le ninfe che finalmente si ricordarono di me.......
Poi le trascinò in mare con la sua corrente, le bloccò alla sua foce e le trasformò in rocce. Sono le isole Echinadi.
La città di Calidone si trovava proprio alla foce di questo fiume e Acheloo aveva spesso avuto modo di vedere e ammirare la bella Deianira. Si era innamorato e l'aveva chiesta in sposa. Ma la fanciulla lo aveva rifiutato perché terrorizzata all'idea che lui potesse trasformarsi a suo piacimento in esseri mostruosi.
Invece Eracle, quando chiese la fanciulla, fu subito accettato. Questo fece infuriare Acheloo, che lo sfidò.
Prima e durante la lotta ci fu fra i due uno scambio di parole forti, che riportiamo. Eracle iniziò, vantandosi:
"Se Deianira sposa me, avrà Zeus per suocero, e un marito famoso per le sue Fatiche!"
Acheloo, in forma di toro con la testa di uomo, sogghignò:
"Io sono il padre di tutti i fiumi greci, e non uno straniero come te! Qua vicino, a Dodona, c'è un oracolo di Zeus, ed esso impone di fare un sacrificio a me, prima di ottenere il responso!"
Mentre diceva questo, e la lotta era già cominciata, Acheloo si trovò disteso a terra, con Eracle sopra. Allora si trasformò in serpente e strisciò via. Eracle esclamò:
"Non mi fai paura, ho strangolato serpenti quando ero ancora in culla", e rise.
Fece per afferrare il serpente alla gola, ma improvvisamente si trovò davanti un toro, che lo caricò. Eracle lo schivò abilmente e lo strinse per le corna. Lo scaraventò nuovamente a terra con tanta forza che il corno destro si spezzò e gli rimase in mano.
A questo punto Acheloo, vergognoso, si ritirò dalla lotta, rinunciando alla bella principessa. Si dice che poi Acheloo riebbe il suo corno dando a Eracle in cambio il corno dell'abbondanza, la Cornucopia.
Deianira e Nesso
Eracle quindi sposò Deianira, la coppia rimase per un certo tempo ad abitare a Calidone e nacque anche un bambino, Illo.
Poi i due sposi lasciarono la città e, lungo il cammino, si trovarono a dover attraversare un fiume. Non c'era ponte, ma un traghettatore. Era il centauro Nesso, che si offrì di portare Deianira, mentre Eracle avrebbe traversato a nuoto. Il centauro si inginocchiò ai piedi della donna, lei gli salì in groppa con la massima tranquillità.
Mentre trasportava la donna, Nesso cercò di abbracciarla con violenza, ma lei si divincolò per difendersi, gridando. Eracle, furioso, uccise Nesso.
Qualcuno dice che usò una delle sue frecce avvelenate, altri che adoperò la spada, e un terzo mito narra che lo uccise a mani nude.
Il grande eroe non poteva immaginare le conseguenze di questo suo atto.
In punto di morte il centauro disse a Deianira:
"Ti confido un segreto. Prendi un po' del mio sangue: è come un filtro magico. Se Eracle in futuro ti vorrà lasciare per un'altra donna, tu, bagna la sua tunica con il filtro e lui tornerà da te."
E Nesso morì, mentre Deianira metteva qualche goccia del suo sangue in un'ampolla e segretamente la nascondeva.
Un delitto, un tripode e un responso
I due sposi poi si stabilirono a Trachis, presso il re Ceice, ma l'irrequieto eroe non sapeva stare fermo e ricominciò a viaggiare, e da solo, e si recò in Ecalia.
In Ecalia regnava re Eurito, che aveva due figli, Ifito e Iole.
Iole era molto bella e aveva tanti pretendenti. Il padre, che era un fortissimo arciere, dichiarò che avrebbe concesso sua figlia in sposa soltanto a colui che lo avesse battuto nella gara con l'arco.
Eracle, che aveva imparato a usare quest'arma proprio da Eurito, si presentò e vinse.
Ma il re aveva saputo che Eracle molti anni prima, in un momento di follia, aveva ucciso i suoi figli e, temendo che in futuro l'eroe potesse fare lo stesso con i figli di Iole, gliela rifiutò.
L'ira di Eracle fu terribile e gettò dalle mura il giovane Ifito, che, fra l'altro, era stato l'unico a difenderlo ed era innocente.
Un delitto gravissimo, da cui doveva essere purificato, e per sapere come, Eracle si recò a Delfi. Ma la Pizia si rifiutò di rispondere alla sua domanda. Eracle, che forse non era guarito del tutto dalla pazzia, cominciò a urlare e minacciare:
"Saccheggerò il santuario, porterò via i tesori, ruberò il tripode su cui siede la Pizia (e lo afferrò con le sue forti mani) e istituirò un altro oracolo in un altro luogo!"
La Pizia, che era vecchia e debole, che cosa avrebbe potuto fare contro Eracle? Invocò Apollo, che venne in aiuto della sua sacerdotessa e così si scatenò una lotta fra i due, che erano fratelli, ambedue figli di Zeus.
Il padre scagliò un fulmine e li separò. Eracle abbandonò il tentativo, rese il tripode e finalmente la Pizia diede il suo responso:
"Dovrai essere venduto come schiavo e servire per tre anni".
Onfale
Attraversiamo il mare e rechiamoci in Lidia, dove regnava una giovane e bella regina di nome Onfale.
Un giorno Onfale comperò per tre talenti uno schiavo. Si trattava di un uomo alto, forte, vestito con una pelle di leone, e portava una clava. La regina lo incaricò di varie imprese, anche ardue e pericolose, che l'uomo compì con facilità. Lei fu così ammirata dal suo coraggio che lo riconobbe come il famoso eroe e si innamorò di lui.
Si racconta che anche Eracle amasse la regina al punto di lasciarle indossare la pelle del leone, di farla giocare con la clava, mentre lui imparava a filare la lana, indossando le vesti di lei color porpora. E se lui nel filare faceva qualche errore, lei scherzosamente lo batteva con il suo sandalo d'oro!
Iole
Tre anni passarono in fretta e la schiavitù di Eracle finì, così egli poté ritornare in Ecalia.
Il nostro eroe non aveva dimenticato che Iole gli era stata rifiutata. Egli l'aveva vinta nella gara con l'arco con Eurito, padre della fanciulla, ma poi la promessa non era stata mantenuta. Orgoglio e ira erano molto forti, e inoltre Iole era bella e la voleva per sé.
Con il suo esercito Eracle stava per distruggere la città.
Iole, l'unica forse in tutti i miti che conosciamo, non amava l'eroe e, per non cadere nelle sue mani, si lanciò da un'alta torre. Ma le sue ampie vesti le permisero di atterrare dolcemente e senza farsi male.
Eracle la portò via con sé e la trattava come sua sposa, senza considerare Deianira che era lontana.
Morte di Eracle
Deianira era rimasta sola a casa, suo marito ormai era lontano da anni, e le era giunta voce che si fosse innamorato di una certa Iole. Si ricordò del filtro di Nesso e attese il momento opportuno per riconquistare (lei credeva) il suo amore.
Un giorno arrivò il giovane Lica, che era l'araldo di Eracle, e le disse:
"Tuo marito chiede una tunica nuova perché deve consacrare un altare a Zeus in ringraziamento per una vittoria".
Deianira bagnò la tunica con il sangue di Nesso e la consegnò a Lica.
Quando Eracle la indossò sentì un fuoco spaventoso in tutte le membra, che lo rese folle di dolore. Afferrò il giovane Lica e lo scagliò lontano, verso il mare, dove fu trasformato nelle isole Licadi.
Intanto il leggero tessuto si incollava sempre più, e non era possibile staccarlo dal corpo.
Quando l'infelice Deianira si rese conto di quello che aveva fatto, si tolse la vita.
Eracle salì sul monte Eta. Non c'era anima viva. Sradicò mezza foresta e si costruì una pira su cui si adagiò. Aveva con sé il suo famoso arco e le frecce con le punte avvelenate. In quel momento apparve un giovane, che si chiamava Filottete.
"Accendi la pira" gli chiese Eracle "e io ti regalo le mie armi. Ma giura che non dirai a nessuno in quale luogo questo è accaduto".
Così avvenne e la grande pira cominciò a bruciare.
Si era avverata una profezia di Zeus: "Nessun uomo vivente ucciderà mai Eracle, ma un nemico morto segnerà la sua fine".
Mentre le prime fiamme si alzavano sulla pira, caddero folgori dal cielo, riducendo tutto in cenere.
Atena, la dea che aveva sempre protetto Eracle, scese in una nube.
Guidava un cocchio con quattro cavalli su cui salì l'eroe e lo portò sull'Olimpo.
Apoteosi di Eracle
C'era stato nel frattempo un concilio degli dèi, durante il quale Era aveva accettato di adottare Eracle come figlio dato che aveva meritato questa gloria attraverso le sue fatiche, il suo valore e soprattutto le sue sofferenze.
Atena accompagnò l'eroe fino al trono di Zeus, che lo dichiarò immortale.
Zeus e Era avevano una figlia, Ebe, la dea della giovinezza e coppiera degli dèi. Ella divenne la sposa di Eracle.
Fra le ombre dei morti che vagavano nell'Erebo, c'era anche una pallida ombra di Eracle, per ricordare che era stato figlio di una donna mortale.
Ma ora egli era un dio, e ogni dio aveva un incarico: c'era il dio della guerra, quello del mare, la dea della sapienza, e così via. Eracle divenne il portiere del cielo e mai si stanca di montare la guardia presso i cancelli dell'Olimpo.
Fra le stelle
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