La storia di Gilgamesh, re ed eroe dei Sumeri, è certamente una delle storie più antiche del mondo.
Gilgamesh era re di Uruk (il quinto re della prima dinastia sumerica) e visse nel 26° secolo aC. Durante il suo regno egli fece costruire possenti mura intorno alla città e un grande tempio dedicato al dio Anu (il Cielo e padre degli dèi).
L'Epopea di Gilgamesh, il poema che canta le sue gesta, è stato scritto oltre quattromila anni fa. Esso ci è pervenuto in buone condizioni, ma alcune parti sono andate perdute. I versi (in corsivo) che appaiono in questo racconto sono originali dell'Epopea.
Uruk, nella bassa Mesopotamia, si trova oggi in Iraq. Purtroppo è rimasto molto poco, in una zona desertica. Infatti l'Eufrate nei secoli ha cambiato il suo corso e si è allontanato.
Rilievo dell'epoca in cui visse Gilgamesh, III millennio a.C.
Nel registro superiore vediamo un re che, tenendo sulla testa un cesto di mattoni, si accinge a posare la prima pietra per la costruzione di un tempio.
Nel registro inferiore egli è seduto, durante la cerimonia di consacrazione del tempio stesso.
I Sumeri e Gilgamesh
Non abbiamo nessun ritratto di Gilgamesh fatto durante la sua vita.
Perciò ognuno se lo può immaginare come vuole.
Osservando però le sculture e immagini dei suoi tempi, vediamo che alcuni uomini portavano la barba e altri no.
Vediamo che tutti indossavano un lungo gonnellino rigido e stavano a torso nudo. D'inverno portavano sopra il gonnellino un mantello e, in testa, un copricapo che riparava anche le orecchie.
Le donne sumere
Anche le donne del 2600 aC. portavano, come gli uomini, abiti confezionati col vello di montone e certamente amavano i grandi cappelli, i 'polos'.
La casa
La casa era costruita con mattoni crudi, rivestiti di fango ed argilla. Le finestre erano poche e piccole, in legno di pioppo o salice. Con i tronchi delle palme invece si sosteneva il tetto, che era costituito da frasche intrecciate, intonacate con fango.
Sul pavimento, stuoie di fibre intrecciate. Le stanze dove si mangiava o si dormiva avevano un focolare.
Sapevano scrivere
Ai tempi di Gilgamesh i Sumeri sapevano scrivere già da mille anni. Furono loro a inventare la scrittura, che poi man mano si diffuse in tutti i paesi.
Si scriveva su tavolette di argilla, incidendo con uno stilo appuntito. Gli scribi erano persone che avevano imparato quest'arte e a loro si rivolgeva chi aveva bisogno di scrivere.
Nei tempi più antichi ogni segno rappresentava una intera parola. Ad esempio 'stella' significava cielo o dio, e 'piede' significava marcia o trasporto.
Gilgamesh
Gilgamesh era il figlio della dea Aruru ed era re di Uruk. Non era un uomo comune, perché per due terzi era divino e, solo per un terzo, uomo. Era alto e forte e molto sapiente: insegnava ogni cosa, sapeva penetrare nei misteri più riposti e conosceva fatti antichissimi, avvenuti prima del Diluvio.
Ma ...... questo re-eroe, sapiente, gagliardo cacciatore, coraggioso e intrepido, aveva anche un carattere forte e prepotente e governava il suo popolo come un tiranno. Faceva lavorare tutti duramente e, se la moglie o la figlia di qualche cittadino gli piaceva, se la prendeva e la portava nel suo palazzo.
I sudditi sopportarono per un po', poi si recarono al tempio di Anu e si lamentarono con il dio:
'Basta, non possiamo più andare avanti così, ti preghiamo di intervenire.'
Anu allora chiamò la dea Araru, madre di Gilgamesh e le disse:
'Sei tu che hai fatto Gilgamesh, ora devi creare un altro uomo, che sia simile a lui per forza e intelligenza, ma diverso in altre cose, che sia rozzo e selvaggio. Così il re si interesserà a questa creatura con cui vorrà lottare e lascerà un po' di respiro ai suoi sudditi!'
Enkidu
La dea Araru allora si recò nel deserto, lontano dalla città, dove vivevano solo animali. Si lavò le mani, prese dell'argilla, la impastò con la sua saliva divina e plasmò Enkidu.
Egli aveva un corpo forte e molto peloso, con lunghi capelli che crescevano velocemente.
La dea chiamò il dio della guerra e gli chiese di infondere in questa creatura un animo bellicoso.
Poi la dea se ne andò.
Enkidu viveva solo nei boschi e nelle grotte, la sua unica compagnia erano gli animali con cui aveva fatto amicizia e che amava.
Con le gazzelle mangia le erbe dei campi
con i cerbiatti si disseta ai ruscelli
il suo cuore si allieta con le acque
Il cacciatore
Un giorno un cacciatore si presentò al palazzo reale e chiese di essere ricevuto da Gilgamesh.
Quando fu davanti al re, il cacciatore piegò il ginocchio in segno di rispetto, poi, tutto agitato, gli disse:
'Mi succede una cosa misteriosa, perciò vengo da te che sai tutto, per farmela spiegare.'
'Avanti, parla' disse il re.
'Io sono un cacciatore e da sempre metto delle reti per catturare animali, oppure scavo delle buche e poi le copro di rami per farceli cadere dentro.'
'E allora?'
'Da qualche tempo trovo le fosse riempite di terra e le reti strappate e inutilizzabili. Non riesco più a prendere nessun animale.'
Il re pensò un poco e poi disse:
'Ti do questo consiglio. Nasconditi bene e sta ad osservare, finché non riuscirai a capire che cosa succede. Poi torna qui a dirmelo.'
Così fece il cacciatore e, qualche giorno, dopo tornò dal re ancora più agitato. Subito gli raccontò:
'L'ho visto: è un essere selvaggio, non so dire se è un uomo o un animale, grande e grosso, coperto di peli e con lunghissimi capelli. E' lui che riempie le buche e strappa le reti, dopo aver liberato gli animali prigionieri. E poi vive con loro. Mangia l'erba dei prati come le bestie e beve dal ruscello.'
Gilgamesh congedò il cacciatore, promettendogli che avrebbe trovato una soluzione.
La sacerdotessa di Isthar
Quello che Gilgamesh desiderava non era soltanto di risolvere il problema del cacciatore. Voleva addomesticare il selvaggio e farselo portare al palazzo.
Nel tempio di Isthar, la dea dell'amore, viveva una sacerdotessa molto bella.
Gilgamesh la mandò a chiamare e le spiegò che cosa doveva fare.
Enkidu stava bevendo al ruscello quando sentì un dolce canto (cosa completamente nuova per lui). Alzò la testa e si vide venire incontro un essere leggiadro e pieno di grazia (non aveva mai visto una donna).
Rimase incantato e rapito mentre la voce armoniosa cantava:
Enkidu, sei bello, sei bello come un dio
Perché corri con le bestie nei campi?
Vieni con me a Uruk, città dalle belle mura,
vieni nel palazzo di Gilgamesh l'eroe perfetto
come un toro egli regna possente
non ha l'eguale fra tutte le genti...
Enkidu esitava.
Gli dispiaceva lasciare la vita serena e tranquilla a cui era abituato, abbandonare i suoi amici animali.
Quando disse questa cosa alla sacerdotessa, lei gli rispose:
'Il re ha avuto un sogno: sua madre, che è una dea, gli ha predetto che presto troverà un amico forte e fedele.'
Così Enkidu si convinse e, dopo sette giorni e sette notti, seguì la fanciulla verso la città.
Enkidu arriva a Uruk
La curiosità fu grandissima: tutti correvano a vedere, si affacciavano alle finestre per non perdere lo spettacolo: un essere così alto, forte e selvaggio e dall'aspetto così minaccioso che seguiva docilmente la bella sacerdotessa.
Non era però possibile presentare al re un selvaggio, la sacerdotessa si preoccupò quindi di renderlo più civile.
Prima di tutto lo fece lavare e spazzolare bene, ungere e profumare come usava a quei tempi. Gli fece regolare e pettinare i lunghi capelli e lo fece vestire con un abito adatto.
Poi gli insegnò a mangiare come le persone e a bere da una coppa e non da un ruscello come gli animali.
Lo fece partecipare a feste e banchetti (quanti cittadini erano felici di invitarlo per vedere da vicino quel fenomeno!) mostrandogli come si doveva comportare.
Quando la sacerdotessa decise che il selvaggio si era sufficientemente trasformato in persona civile, lo accompagnò al palazzo.
E ci fu l'incontro fra i due eroi.
L'incontro fra Gilgamesh ed Enkidu
Il dio Anu aveva fatto creare Enkidu per dare a Gilgamesh un rivale con cui lottare.
Appena i due si videro, cominciarono ad azzuffarsi violentemente e a battersi come tori. Gilgamesh, da ultimo, ebbe la peggio.
Ma la rivalità durò pochissimo, perché i due, riconoscendo il reciproco valore, diventarono presto amici per la pelle.
Non si separavano mai: ma le cavalcate e le cacce, dopo un po', non bastarono più e i due cominciarono a fare programmi per imprese ed avventure gloriose da vivere insieme.
Erano tempi in cui la terra era piena di esseri mostruosi, di briganti che terrorizzavano la popolazione, di giganti paurosi.
Quindi non c'era che da scegliere!
Il mostro Khumbaba
Il mostro Khumbaba era il guardiano della Foresta dei Cedri. Un essere terribile, la sua voce era simile alla tempesta, il suo soffio forte come il vento ......
Era tanto tempo che Gilgamesh voleva affrontarlo ma, da solo, era impossibile.
Ora che aveva un amico forte e coraggioso, decise di tentare l'impresa ma Enkidu esitava. Non era un vile, però gli pareva troppo rischioso.
Anche un gruppo di cittadini anziani di Uruk si presentò al re per dissuaderlo.
Nulla poteva far cambiare idea a Gilgamesh quando era deciso. Fece costruire due asce e due spade gigantesche, le mostrò a Enkidu e
'Andiamo!' esclamò. E così, partirono.
La Foresta dei Cedri, fitta e scura, si trovava su una grandiosa montagna. I due eroi si fermarono in ammirazione.
In quel momento si sentì la voce di Khumbaba, un boato spaventoso.
A quel suono, Enkidu si sentì debole come un bambino e balbettò:
'Non riesco a muovermi, il mio braccio non sostiene il peso della spada!'
Era sera. I due amici si fermarono a dormire. Enkidu ebbe un sogno che lo rassicurò e, al mattino, si ritrovò forte e coraggioso come sempre.
A questo punto i due eroi penetrarono nella foresta, trovarono il mostro e dopo una lotta terribile gli tagliarono la testa.La dea Isthar si innamora di Gilgamesh
Rientrato al palazzo, Gilgamesh si vide sporco, con gli abiti laceri, i capelli in disordine.
Ordinò quindi subito un bagno, che gli portassero gli unguenti, un ricco abito ...
Il re credeva di essere solo, ma Isthar, la dea dell'amore, lo stava osservando. Lei lo aveva ammirato per la forza e il coraggio mentre nella Foresta dei Cedri abbatteva il terribile mostro. Ora lo ammirava per la sua prestanza e la sua bellezza.
Isthar gli apparve e così gli parlò:
Vieni, Gilgamesh, sii il mio amante
sii il mio sposo
ed io sarò la tua sposa!
Ti farò preparare un cocchio di zaffiri
con ruote d'oro e magnifici cavalli
Entra nella mia casa
dal profumo di cedro
Ma Gilgamesh sapeva che la dea Isthar era infida e crudele e le rispose:
'Tu rovini chi crede in te: sei come una porta che lascia entrare il freddo, come una casa cadente, un vaso che perde, una pietra che dondola nel muro, una scarpa che stringe ...... Chi mai ti ha amato senza soffrire?
Hai trasformato in sciacallo un pastore e in ragno il giardiniere di tuo padre, quando non li hai amati più. No, io non mi lascio irretire, perché ora vuoi il mio amore, poi mi tratterai come quelli. No, Isthar, no!'
La dea non era abituata a sentirsi rispondere di no. Furiosa per essere stata rifiutata e insultata, sentì il suo amore trasformarsi in odio e desiderò vendicarsi.
Subito si recò dal dio Anu.
Il Toro celeste
Ascoltando la preghiera di Isthar, il dio Anu inviò il Toro celeste, per annientare Gilgamesh.
Il Toro cominciò a correre per le strade di Uruk e ad incornare tutti quelli che cercavano di fermarlo.
Più di trecento ne uccise, finché un corteo di cittadini si recò al palazzo, per pregare Gilgamesh di salvarli.
Naturalmente, il re non andò solo: il suo fedele amico Enkidu uscì con lui e insieme i due eroi abbatterono il terribile animale.
Poi si lavarono le mani nell'Eufrate e tornarono in città, dove la folla li acclamava cantando:
Chi è splendido fra gli uomini?
Chi è glorioso fra gli eroi?
Gilgamesh è splendido fra gli uomini
Enkidu è glorioso fra gli eroi
Dalle alte mura della città la dea Isthar, furiosa, guardava e taceva.
Forse fu proprio lei la causa del grande dolore che in breve tempo avrebbe colpito il re.
Le dodici imprese
I due amici iniziarono insieme e liberare il paese da animali e mostri, compiendo dodici eroiche imprese.
Non sappiamo però nulla di queste, perché la relativa parte dell'Epopea è andata perduta.
Morte di Enkidu
Una mattina Enkidu, ansioso e preoccupato, disse:
'Gilgamesh, ho fatto un brutto sogno. Gli dèi erano tutti riuniti e decidevano che io dovevo morire. Poi un animale con gli artigli di leone mi portava nel regno dei morti.'
Il re cercò di rassicurare l'amico, ma Enkidu presto si ammalò. Nonostante le cure attente ed affettuose di Gilgamesh, la malattia si aggravò ed Enkidu morì.
(Forse era una vendetta della dea Isthar?)
Gilgamesh lo pianse a lungo, gli fece funerali solenni e volle che tutta la popolazione partecipasse insieme a lui.
Non era solo la sofferenza per la perdita dell'amico. Per la prima volta, il coraggioso re cominciava a pensare alla morte e vagava per le campagne, mormorando:
Morirò io pure, allora, come Enkidu?
L'angoscia è entrata nella mia anima
perché temo la morte, e mi aggiro per questi campi ......
Poi ricordò che il suo antenato Utnapistim aveva ottenuto l'immortalità e decise di cercarlo per chiedergli come aveva fatto.
Inizia il viaggio verso l'Isola dei Beati
Gilgamesh partì dunque per questo lungo viaggio, verso l'Isola dei Beati, dove il suo antenato abitava fin dai tempi del Diluvio.
Si avviò, ad Oriente e presto si trovò davanti un'alta montagna, coperta da folte foreste, dove abitavano dei mostruosi uomini-scorpioni i quali con il solo sguardo facevano crollare le montagne.
Gilgamesh si inchinò davanti a loro, atterrito. Ma uno di loro disse:
'Non temere, abbiamo riconosciuto in te l'uomo per due terzi divino, non ti faremo del male, anzi, ti vogliamo aiutare. Il tuo antenato Utnapistim dimora dietro la Porta del Sole. Ma prima di arrivarci dovrai viaggiare nelle tenebre per ventiquattro ore.'
Gilgamesh li ringraziò e partì.
Il lunghissimo, interminabile viaggio nell'oscurità fu un grande peso da sopportare, ma finalmente, in lontananza, scorse la luce.
La dea Siduri
Gilgamesh si trovò in un giardino meraviglioso: alcuni alberi erano carichi di frutti, altri, invece, di pietre preziose. Fra di essi c'era il maestoso Albero degli dèi. Fontane zampillavano, dando gioia e frescura.
Qui c'era il palazzo della dea Siduri, che sedeva sul trono avvolta in leggiadri veli.
All'inizio lei non lo volle ricevere, perché il re era impolverato e vestito di lacere pelli, ma lui insistette e alla fine lo condussero alla sala del trono.
'Perché hai un aspetto così macilento? E' a causa del lungo cammino o è un grande dolore che ti opprime?' chiese la dea.
Gilgamesh le raccontò allora del suo amico forte e fedele, di tutte le imprese gloriose che avevano compiuto insieme e di come fosse morto, troppo presto, lasciandolo in un profondo sconforto.
E finì il suo racconto con queste parole:
'Mi fa paura la morte e perciò
vago senza trovar pace e mi tormento
in cerca dell'immortalità.'
La dea lo ascoltò con attenzione e pietà, ma sapeva che il suo viaggio era inutile.
Infatti gli rispose con queste parole:
Gilgamesh, perché corri da ogni parte?
La vita che cerchi non la troverai.
Quando gli dèi crearono gli uomini
a questi assegnarono la morte,
e per se stessi tennero la vita
e continuò : Torna a Uruk, godi la vita e i beni terreni, la compagnia degli amici, delle donne e dei bambini. Fai festa, mangia, bevi ......'
'No, disse Gilgamesh, io sono ormai vecchio e voglio vincere la morte. Aiutami!'
Incontro con Utnapistim
Lasciata la dea, il re arrivò al Mare della Morte. Qui Ur-Sanabi, il nocchiero, dopo aver ascoltato la sua storia, accettò di traghettarlo ma lo avvertì:
'E' un lungo viaggio in mare, un mese e mezzo e, quando arriviamo, non potrai toccare terra, non è permesso. Ma potrai vedere Utnapistim e parlare con lui.'
Finalmente, dopo un mese e mezzo, giunsero alle Acque che circondano l'Isola dei Beati e lì, diritto, immobile sulla riva c'era Utnapistim che aspettava, ansioso di conoscere il suo pro-pronipote.
Gilgamesh allora raccontò un'altra volta la sua storia, l'amicizia con Enkidu, le loro imprese e la sua morte. E infine espresse il suo desiderio di immortalità.
Ma Utnapistim gli disse:
Gli dèi e la dea del Destino
fissano la sorte dell'uomo
stabiliscono i giorni della vita
ma non rivelano quelli della morte......
'Allora, chiese il re, se è destino dell'uomo di morire, come avete mai fatto tu e tua moglie ad ottenere l'immortalità?'
'E' stato un dono degli dèi, forse pentiti di aver mandato il Diluvio, hanno voluto ricompensare noi due'.
Il racconto del Diluvio
E Utnapistim raccontò:
Gli dèi decisero di distruggere il mondo, gli uomini e tutti gli altri esseri, mandando il Diluvio. Ma Ea, il dio delle acque volle salvare almeno un uomo con i suoi familiari e mi rivelò il segreto alla capanna fabbricata con giunchi nella quale io dormivo:
Casa di giunchi, casa di giunchi,
casa di giunchi, ascolta!
Uomo che abiti qui, abbatti la casa,
costruisci una nave, salva la vita,
ogni seme di vita porta nella nave
poi sali e lanciala nel mare...
Io risposi che avrei obbedito. E chiesi: Ma, se qualcuno mi domanda perché costruisco una nave, che cosa devo rispondere?' E il dio: ' Dì che hai deciso di andare a vivere in mare.'
Così feci e, quando cominciò a grandinare, salimmo a bordo. Dopo aver caricato i miei averi, i familiari e i servi, il bestiame e gli animali dei campi, chiusi le aperture e affidai il vascello al mio nocchiero.
L'uragano infuriò per sei giorni e sei notti, distruggendo tutto. Poi la violenza diminuì, il mare si calmò e i venti cessarono. Guardai fuori: c'era solo fango e io piansi. Mandai fuori una colomba, poi una rondine, ma entrambe tornarono perché non sapevano dove posarsi.
Intanto le acque scendevano, e, quando mandai fuori un corvo, questo non ritornò.
Capii allora che si poteva scendere a terra.
Subito sacrificai agli dèi ed essi accorsero, sentendo il buon profumo delle carni.
E poi essi dissero:
Prima Utnapistim era un uomo mortale
ora sia, con la moglie, simile a noi dèi
Sibu Assahir Amelu
Utnapistim concluse il suo racconto con queste parole:
'Gli dèi non manderanno più un altro Diluvio, lo hanno promesso. Ma anche non permetteranno più ad alcun uomo di diventare immortale.'
A questo punto, Gigamesh, triste e deluso, disse al suo avo che sarebbe tornato ad Uruk, dato che aveva perduto ogni speranza.
Gilgamesh stava ancora sulla barca e Utnapistim, dalla riva, allungò un braccio e lo toccò con affetto. Poi, per consolarlo un poco, gli rivelò un segreto.
'C'è una pianta meravigliosa, che cresce sul fondo del mare. Si chiama Sibu Issahir Amelu (il vecchio diventa giovane). Il nocchiero ti indicherà dove trovarla e come prenderla. Quella pianta ti ridarà la giovinezza.'
Il re, felice di questa notizia e felice per non aver fatto tutto quel viaggio invano, ringraziò il suo avo e anche sua moglie, che gli aveva preparato dei pani. E li salutò.
Giunto in mezzo al Mare della Morte, con l'aiuto del nocchiero, Gilgamesh si legò ai piedi delle pesanti pietre e si calò nelle profondità, fino al fondo marino.
Qui trovò e raccolse una pianta spinosa. Tornò in superficie e si sedette nella barca tenendo in mano ben stretta la sua preziosa conquista.
E non la lasciava un momento.
Arrivati a terra, salutò il nocchiero.
Poi il re si incamminò verso Uruk.
Era un altro viaggio lungo e faticoso. E faceva molto caldo. Vide un laghetto di acqua limpida e fresca e decise di fare un breve bagno. Si spogliò, ammucchiò i vestiti per terra e appoggiò la piantina su una grossa pietra.
Mentre il re era in acqua, un serpente sentì l'odore di quelle foglie magiche, si avvicinò, prese delicatamente la pianta in bocca e si allontanò.
Quando Gilgamesh uscì dal laghetto e non trovò più la pianta, furioso, imprecò e pianse, anche se si rendeva conto che ormai ogni speranza era perduta.
Tanta fatica, e non a me stesso ho fatto del bene
ho giovato a uno strisciante verme della terra!
Gilgamesh è ormai vecchio
E ripensò alla sua vita trascorsa, alle sue avventure, alle sue imprese. Dovette concludere che un uomo, anche se era un eroe, anche se era un sapiente, anche se era un re potente, non avrebbe potuto vivere per sempre, non avrebbe potuto neppure ritrovare la giovinezza. E pensò all'amicizia, un bene prezioso. Ma anche quello per lui era durato troppo poco, perché Enkidu ......
A questo punto Ea, il dio delle acque, quello stesso che aveva salvato il suo avo Utnapistim, gli volle dare una piccola consolazione. Praticò un foro nella terra e da lì lo spirito di Enkidu uscì, 'come un vento'. I due grandi amici si riconobbero e, commossi, si abbracciarono
Fu un breve incontro, poi ciascuno tornò alla sua dimora.
Rilievo assiro in alabastro che ritrae Gilgamesh mentre strozza un leone, Parigi, Museo del Louvre
Il bassorilievo fu scolpito 18 secoli dopo la sua morte e 28 secoli fa
Fine dell'Epopea di Gilgamesh
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