Gigantomachia, rilievo, Tesoro di Sifni, Delfi, Grecia
Antichissimo e misteriosissimo
Il Disco di Festo, 1700 aC, Museo Archeologico, Creta
La Gigantomachia
La Gigantomachia è la lotta fra gli dèi e i Giganti.
I Giganti erano figli di Gea, nati dalle gocce di sangue di Urano ferito cadute sulla terra.
Erano esseri enormi, dall’aspetto terrificante, con folte chiome e barba irsuta. Al posto delle gambe avevano spire di serpente.
Gea, per vendicare la sorte dei suoi figli Titani incatenati nel Tartaro, spinse i Giganti a far guerra agli dèi. I Giganti lanciarono sull’Olimpo enormi pietre e tronchi infuocati. Gli dèi allora si unirono per combatterli e alla lotta partecipò anche Eracle. Infatti i Giganti potevano morire solo se colpiti da un uomo e un dio insieme.
Zeus e Atena combatterono con l’egida e il fulmine, Dioniso con il suo tirso, Efesto con ferri roventi, Poseidone gettò su un Gigante addirittura un pezzo di isola.
Alla fine i Giganti furono sconfitti.
Gigantomachia, fregio dell’Altare di Pergamo, Pergamonmuseum, Berlino
Tifone
Il regno di Zeus sugli dèi e sul mondo, agli inizi, non fu affatto tranquillo perché, dopo l’assalto dei Giganti, gli si presentò Tifone: voleva regnare lui.
Tifone era figlio di Gea e del Tartaro. Era stata sua madre a sobillarlo contro Zeus.
Era più alto di tutte le montagne e spesso la sua testa urtava le stelle. Quando distendeva le braccia, una mano toccava l’oriente e con l’altra raggiungeva l’occidente. Dalla cintura in giù era solo serpenti. Il suo corpo era alato e i suoi occhi lanciavano fiamme.
Tifone, antefissa etrusca, British Museum, Londra
Un giorno che Afrodite ed Eros stavano tranquillamente riposandosi sulle rive dell’Eufrate, il bellissimo grande fiume della Mesopotamia, apparve Tifone.
Terrorizzati, i due dèi subito si gettarono nelle acque del fiume.
E qui ci sono due diversi miti: secondo il primo mito i due si trasformarono in pesci e se ne fuggirono, secondo l’altro mito, invece, vennero due pesci a salvarli portandoli in groppa sull’altra riva.
Comunque siano andate le cose, per mantenere la memoria di questo episodio furono messi in cielo, fra le stelle, due Pesci, che sono un segno dello Zodiaco.
Afrodite ed Eros, pittura su cratere, Biblioteca Nazionale, Parigi
Tifone voleva prendere il potere e cominciò a spaventare gli dèi. Arrivò sull’Olimpo e gli dèi tutti fuggirono in Egitto e si nascosero nel deserto dove, per sfuggirgli, si trasformarono in animali: Apollo diventò un nibbio, Ermes un ibis, Afrodite un pesce, Dioniso un caprone, Efesto un bue, Era una vacca bianca, Artemide un gatto e Zeus un ariete. Solo Atena non ebbe paura e disse a Zeus:
“Padre, sei il re degli dèi, non devi mostrare viltà”.
Mosaico del Nilo, 1° sec. aC, Museo Archeologico, Palestrina
Zeus riprese le sue vere sembianze e lanciò una folgore contro Tifone. Ma non bastò, perché Tifone lo avvolse nelle sue mille spire e lo immobilizzò.
Zeus era immortale e, se Tifone voleva prendere il potere, doveva in qualche modo neutralizzarlo.
Allora Tifone tagliò i tendini delle mani e dei piedi di Zeus e lo trascinò in una grotta (il dio non poteva muovere un dito!) e nascose i tendini in una pelle d’orso. Mise a guardia sua sorella, la dragonessa Delfine, anche lei mezza donna e mezza serpente.
Quando la tremenda notizia arrivò agli dèi, Ermes e Pan decisero di intervenire.
Ermes disse a Pan:
“Tu occupati della guardiana, io penso ai tendini”.
Così Pan lanciò un urlo (era la sua specialità), che spaventò la dragonessa e, mentre lei era distratta, Ermes recuperò i tendini e li rimise nel corpo di Zeus.
Pan, disegno moderno
Tifone fuggì, Zeus lo inseguì. Il mostro accatastò montagne una sull’altra e le fece rotolare su Zeus, ma il dio, protetto da una cortina di folgori, si salvò, mentre le montagne rimbalzavano indietro su Tifone.
Zeus lotta con Tifone, idria, 6° sec. aC, Museo Nazionale, Monaco
Finirono in Sicilia, dove Zeus schiacciò Tifone sotto il monte Etna che da quel giorno sputa fuoco.
Da quel momento nessuno più tentò di togliere il potere a Zeus.
Zeus coi fulmini, 480 aC, Museo Statale, Berlino
Tifone, 560 aC, Museo di Cerveteri
Il fuoco di Prometeo e il vaso di Pandora
Prometeo ed Epimeteo erano i figli del titano Giapeto. Prometeo significa ‘quello che prima pensa e poi agisce’, Epimeteo, esattamente il contrario. Questo fa capire il carattere dei due fratelli.
Un mito racconta che fu Prometeo a plasmare il primo uomo, impastando la creta con le sue proprie lacrime.
Prometeo plasma l’uomo, affresco, 3° sec., Museo di Ostia
Il filosofo Platone ci racconta invece che tutti gli esseri viventi furono creati dagli dèi, i quali poi incaricarono i due fratelli di distribuire a ciascuno i mezzi di sopravvivenza. Epimeteo si incaricò di farlo. A un animale diede le corna, a un altro le zanne, uno ricevette l’agilità e la velocità nel fuggire, un altro gli aculei, o le ali, o la capacità di mimetizzarsi. Finito il lavoro, Epimeteo andò dal fratello per farsi lodare. Ma Prometeo gli chiese: “E all’uomo, che cosa hai dato?” “Nulla” fu la risposta “stava in una caverna e non l’ho visto”.
A questo punto, i due miti proseguono insieme. Prometeo, che amava gli uomini, volle regalare loro il fuoco e rubò una scintilla dal carro di Elio (o dalla fucina di Efesto). La inserì in una canna di metallo cava e la portò agli uomini. Insegnò loro a scaldarsi, a illuminare la notte, a difendersi dagli animali, a cucinarsi i cibi, a fondere i metalli…… Gli uomini avevano ricevuto il più prezioso dei doni.
Uomo con canna e fuoco, Villa dei Misteri, Pompei
Zeus si infuriò: il fuoco era stato fino ad allora una prerogativa degli dèi e decise di punire sia gli uomini che Prometeo.
La punizione per gli uomini fu la creazione della prima donna.
Zeus chiamò gli dèi e li incaricò di plasmare un essere esteriormente bellissimo, ma con la furbizia e la menzogna nel cuore. Così nacque Pandora (che significa ‘tutti i doni’).
La creazione di Pandora, coppa, 5° sec. aC, British Museum, Londra
La fanciulla arrivò sulla terra tenendo in mano un vaso e si presentò a Prometeo, il quale la allontanò subito e raccomandò al fratello di fare lo stesso.
Ma Epimeteo si innamorò di Pandora e la volle sposare.
Prometeo rifiuta Pandora, bronzo etrusco, 3° sec. aC, Museo del Louvre, Parigi
Il vaso, a Pandora, lo aveva dato Zeus, con l’ordine assoluto di non aprirlo. Per un po’ la donna resistette, poi la curiosità la vinse.
“Do uno sguardo dentro e poi lo richiudo subito” aveva pensato.
Ma da quello spiraglio uscirono, senza possibilità di fermarli, tutti i mali che l’uomo non aveva ancora conosciuto, compresa la malattia, la vecchiaia e la morte.
Su questo aveva contato Zeus per punire gli uomini.
Quando Pandora riuscì finalmente a chiudere il vaso, dentro era rimasta solo la speranza, povera consolazione.
Epimeteo e Pandora, cratere attico, 3° sec. aC, Ashmolean Museum, Oxford
La punizione di Prometeo fu tremenda: venne portato sul Caucaso e incatenato ad una roccia da Efesto.
Un’aquila gli rodeva il fegato durante il giorno, ed esso ricresceva durante la notte. Il supplizio durò finché di lì non passò Eracle.
Prometeo incatenato sul Caucaso, stampa, 18° sec.
Deucalione e Pirra
Deucalione era figlio di Prometeo ed era un uomo saggio e giusto.
Aveva sposato sua cugina Pirra, figlia di Epimeteo e Pandora. Pirra vuol dire ‘rossa’, perciò possiamo immaginare che avesse questo colore di capelli. Deucalione e Pirra erano destinati a diventare padre e madre di tutta l’umanità.
Quando Zeus, adirato con gli uomini dell’età del bronzo, decise di sterminarli tutti, vide che almeno una coppia era degna di essere risparmiata, proprio Deucalione e Pirra.
Prometeo, conoscendo le intenzioni di Zeus, andò dal figlio e gli consigliò come fare. Deucalione costruì una grande cassa e in essa entrò insieme alla moglie.
Poi cominciò a piovere.
L’acqua salì, la cassa galleggiò e per nove giorni vagò sulle acque che avevano coperto tutto, finché non si posò sul monte Parnaso.
Quando uscirono, i due si trovarono soli e si sentirono molto infelici.
Allora Zeus mandò Ermes, che chiese loro di esprimere un desiderio. La risposta fu:
“Desideriamo dei compagni”.
Ermes a questo punto suggerì:
“Gettatevi le ‘ossa della madre’ dietro le spalle”.
Pirra inorridì a quell’idea, ma Deucalione capì di che cosa si trattava: i sassi erano le ossa della terra, madre di tutti.
I sassi gettati da Deucalione si trasformarono in uomini, quelli gettati da Pirra, in donne.
Deucalione e Pirra, Giulio Romano, 16° sec., Farnesina, Roma
Le cinque età dell’uomo
Secondo Esiodo, il primo uomo non fu plasmato da Prometeo, ma fu la terra che spontaneamente generò gli uomini, come i suoi frutti migliori. E distingue cinque età.
La prima razza, quella dell’Età dell’Oro, viveva ai tempi in cui Crono regnava nel cielo. Questi uomini come dèi vivevano, senza affanni nel cuore, lontano da pene e miseria, né per loro arrivava la triste vecchiaia, ma erano sempre forti di gambe e di braccia. Morivano come vinti dal sonno. La fertile terra dava il suo frutto, ricco e abbondante, senza lavoro. Essi erano ricchi di armenti e vivevano sereni, cari agli dèi. Dopo morti diventarono demoni benigni sulla terra, e custodi degli uomini.
L’età dell’oro, Ingres, 1862, Fogg Art Museum, Cambridge, Mass., USA
La seconda razza, quella dell’argento, era assai peggiore della prima, non era giusta, ma violenta. I fanciulli, giocosi e sciocchi, venivano per lungo tempo allevati presso la madre saggia. Ma quando raggiungevano la giovinezza non sacrificavano più agli dèi e si combattevano fra di loro. Non arrivavano alla vecchiaia, ma la loro era una lunga giovinezza stupida. Quando morivano, anch’essi diventavano demoni, ma demoni dell’Oltretomba.
La terza razza, quella del bronzo, aveva uomini assai violenti e dediti alla guerra e dalle loro proprie mani distrutti, partirono per la tenebrosa dimora del gelido Ade, senza fama. Di loro non si ha più memoria.
Venne poi la razza degli eroi: sopra la terra feconda fece Zeus Cronide una razza più giusta e migliore, di eroi. E quando li uccise la guerra malvagia o nel grande abisso del mare il destino di morte li avvolse, Zeus li pose all’Isola dei Beati. Essi abitano con cuore sereno, in quest’isola presso l’Oceano dai gorghi profondi.
La quinta razza, del ferro, è quella degli uomini che ora vivono. Essi mai cesseranno da fatiche ed affanni ed aspre pene manderanno a loro gli dèi. Ma ai mali si mischieranno dei beni.
Crono giovane con serpente, Museo di Arte Romana, Merida
Zeus in trono, tetradramma, 5° sec. aC, British Museum, Londra
Comments powered by CComment